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La Gazzetta dello Sport: “Il calcio tedesco esempio virtuoso”

gazzetta_20130316_iariaA lezione di Bundesliga «Riportate il colore nei vostri stadi»

Parla un blogger tedesco che vive in Italia: «Meno burocrazia, più servizi. I club coinvolgano i tifosi» Kai Tippmann: «Metro, bagni puliti, parcheggi, prezzi popolari: il divario è questo»

A volte basterebbe solo un sorriso. Sei al tornello, aspetti diligentemente in fila e quando è il tuo turno lo (o la) steward ti volge lo sguardo facendo gli onori di casa, quasi a dire «Benvenuto nel nostro stadio, divertiti». No, quell’atto di cortesia non cancellerebbe con un colpo di spugna la crisi di pubblico del calcio italiano, non farebbe ripopolare d’incanto i nostri stadi. Ma vorrebbe dire molto, segnerebbe almeno simbolicamente un passaggio: la gestione non più del «problema» ordine pubblico bensì del flusso di gente come «opportunità» per arricchire lo spettacolo. A Kai Tippmann è rimasto impresso questo particolare: «Cominciamo con un sorriso sulle labbra. I tifosi apprezzerebbero. Un servizio di accoglienza più educato, magari anche meglio pagato, è un primo passo».

Osservatorio Bisogna stare a sentire attentamente ciò che dice Kai, perché dispone di un osservatorio privilegiato: nato e cresciuto a Berlino, si è trasferito in Italia nel 1999, frequenta da una vita gli stadi tedeschi e italiani, ha «tradito» l’Hertha per il Milan di Sacchi e ha contagiato pure il figlio Ezra, 13 anni, con cui spesso va a vedere i rossoneri a San Siro. Dimenticavamo: è giornalista e traduttore e studia a fondo le dinamiche da stadio, tanto che il suo blog altravita.com è un punto di riferimento per i tifosi tedeschi, svizzeri e austriaci. Insomma, chi meglio di lui può raccontarci le differenze con il modello europeo più in voga, quella Germania che vanta 44.293 spettatori medi in Bundesliga (22.005 in Serie A) e 17.196 in Bundesliga 2 (6.128 in B)?

Atmosfera La prima differenza è visiva. «Gli stadi tedeschi sono pieni, dalla prima alla terza divisione, sono moderni, con poche eccezioni, puoi parcheggiare tranquillamente, c’è la metro vicina, i bagni sono puliti, i prezzi dei biglietti sono popolari, pure all’Allianz Arena. Si respira la stessa atmosfera dell’Italia degli anni 80 e 90. In Germania il tifo, lo stare assiemeè l’essenza del calcio». Il modello tedesco si porta dietro il gap esistente tra i due Paesi. La regola del 50% più uno, che consente alle associazioni di persone di detenere la maggioranza dei voti di una società calcistica, è così distante dalla nostra concezione di governance — l’uomo solo al comando, il mecenate che fa e disfa — da apparire un’utopia. E la svolta del Mondiale 2006, con una nuova generazione di impianti che ha cambiato la faccia del movimento tedesco, è un sogno italico già svanito più volte negli ultimi anni, ammesso che le organizzazioni dell’Europeo 2012 o 2016 fossero davvero servite a farci entrare nella modernità pallonara. In attesa di strutture rinnovate e in mano ai club, si può fare comunque qualcosa per rovesciare il rapporto stadi vuoti/salotti pieni. Intanto, una burocrazia meno opprimente e schizofrenica. «Ho sentito storie assurde—dice Tippmann—come quella di un vecchietto a cui, nel bel mezzo di un diluvio, hanno tolto l’ombrello ai controlli. In Italia, a differenza che in Germania, non mi sento nemmeno un cliente andando allo stadio. Perché, se non ho precedenti, per portare mio figlio al campo devo farmi la tessera del tifoso, recarmi in banca, firmare decine di pagine, diffondere i miei dati? Vorrei poter semplicemente comprare il biglietto al botteghino. E pagarlo a un prezzo adeguato alla crisi, visto che si hanno meno soldi in tasca».

Voce La Germania è maestra pure nel coinvolgimento dei tifosi nella vita delle società, finanche nei processi decisionali. E i tifosi sanno farsi sentire, come nella protesta «12:12»: prima della sosta invernale, per 12 minuti e 12 secondi i fans sono rimasti in silenzio contro un pacchetto di misure teso a limitare le trasferte, i posti in piedi, gli striscioni e così via. Avrebbe dovuto essere varato il 12 dicembre ma è stato rinviato. «Ogni squadra—spiega Tippmann—ha delle persone che si occupano dei supporter. Esiste un rapporto istituzionale tra la tifoseria e la società, legalizzato e pagato per metà della società e per metà dallo Stato. In Italia la realtà è diversa ma ci sono tanti tifosi che accetterebbero un dialogo. Magari venendo accolti in un ufficio all’interno dello stadio per avere risposte alle loro domande. Gli ultrà? Il rapporto è compromesso, impossibile cancellare 40 anni di battaglie. Si è sbagliato a condannare un intero movimento, a togliere i megafoni a tutti anziché colpire la minoranza facinorosa. Non torneremo forse alle curve colorate degli anni d’oro ma si può riscoprire la passione italiana per il calcio, per il canto, si possono riempire gli spalti di nuove generazioni di tifosi affascinate dallo spettacolo. In un altro modo, meno violento ma anche meno anonimo e triste».

MARCO IARIA twitter@marcoiaria1